Il momento di elaborazione del problema non è mai facile.

L’acquisizione della consapevolezza di sé, soprattutto quando risulta legata ad un aspetto negativo della propria persona, incide profondamente sulle nostre abitudini, sulle attività e sulle relazioni che ciascuno di noi quotidianamente sperimenta sul luogo di lavoro, in casa o in famiglia.

Se il problema investe l’ambito sessuale, poi, ci troviamo di fronte a un problema nel problema: viene infatti soppresso l’unico istinto che potrebbe aiutarci, quello di parlarne con le persone che ci stanno vicino. Viviamo in una società divisa in due ed estremizzata in entrambe le parti: se da un lato il sesso viene ancora considerato come una specie di tabù, rinchiuso in un angolo della mente e represso quasi fosse un impulso indesiderato e indesiderabile, dall’altro ne vengono esaltate le manifestazioni più spinte, che si trasformano in racconti che poco hanno a che fare con la realtà.

Di fronte ad un problema di natura sessuale, pertanto, l’individuo si sente, nell’ordine, spaventato, solo e intimorito da un contesto schizofrenico, che concede poche possibilità di valutare con la necessaria calma la situazione che si sta vivendo. Nel mio caso, questo senso di frustrazione e di solitudine incideva profondamente nei miei rapporti con la partner, che inconsciamente cercavo di allontanare per non trovarmi di fronte alla causa della mia ansia: il sesso.

In questo frangente il ruolo dello psicologo, a mio modo di vedere, è quello di ridefinire i criteri di valutazione del paziente, facendolo riflettere sulla realtà della situazione che, per le ragioni di cui sopra, spesso gli sfuggono. La “bacchetta magica” a disposizione dello psicologo non è altro che questo, far comprendere al paziente che la situazione di disagio a livello sessuale spesso non è il frutto di un problema fisico (come molti, tra cui io stesso, pensano), ma deriva semplicemente da un blocco mentale che, tranne casi particolari, spesso deriva da quel coacervo di racconti e falsi miti che il mondo di oggi ci propina come verità assiomatiche.

La semplice presa di coscienza di questo fatto nel mio caso è stata sufficiente a superare una situazione di difficoltà o, come la chiamavo io, di circolo vizioso: un insuccesso, dovuto a cause banali (eccesso di stanchezza, eccesso di alcool, stress sul lavoro) costituiva un precedente ansiogeno, che comportava un secondo insuccesso, che faceva accumulare ulteriormente l’ansia e mi faceva piombare in un baratro di frustrazione; raggiunto il fondo, quando il livello di ansia calava per qualsiasi ragione (successo sul lavoro ecc.), il desiderio sessuale riusciva a prevalere sul resto, comportando un successo che a sua volta alimentava il successo seguente, in un’ottica circolare che, una volta infranta, veniva sostituita da una parabola negativa. E poi di nuovo.

Quello che sono riuscito ad ottenere nel corso della terapia è una maggiore consapevolezza dei meccanismi che regolano questo processo, strumento fondamentale per eliminare la parte negativa della parabola e per gestire la famigerata ansia da prestazione, spesso causa (almeno nel mio caso) di gran parte dei problemi.

Questo ha comportato un miglioramento dei rapporti con la partner non solo nella sfera sessuale, ma anche in quella affettiva: l’allontanamento inconscio è stato superato, così come la paura di affrontare l’argomento sessuale in ogni sua forma (scene di film, frasi in televisione o nei dialoghi con amici).

Rileggendo quello che ho scritto mi rendo conto, forse per la prima volta, della situazione assurda in cui mi sono trovato. Una situazione da cui non è poi così difficile uscire, se si hanno gli strumenti adatti e una guida con una bacchetta magica.

E.